regia: Vittorio Moroni; sceneggiatura: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda; fotografia: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda, Habib Rahman; montaggio: Marco Piccarreda; musica: Mario Mariani; interpreti: Md Moazzem Hossain (Licu), Fancy Khanam (Fancy), Giulia di Quilio (Giulia); produzione: 50N/Rai Cinema; distribuzione: 01 distribution; durata: 93’; origine: Italia, 2006.
Licu è nato in Bangladesh, è musulmano, ha ventisette anni e abita a Roma in una casa in affitto con altri immigrati e sembra molto integrato. Lo conosciamo nella sua quotidianità, lavora come magazziniere in un laboratorio tessile la mattina, cassiere in un negozio alimentare la sera. Riceve da sua madre la foto di una ragazza di diciotto anni; si chiama Fancy ed è la sposa che la sua famiglia ha scelto per lui. Licu ottiene solo quattro settimane di ferie non pagate per andare in Bangladesh e organizzare il matrimonio con la bella Fancy, che non alluvioni, ma alla fine i due si sposano e la ragazza si trasferisce a Roma, dove la vita è forse più semplice ma integrarsi è difficile, anche per Licu, con il suo nuovo ruolo di marito.
Difficile definire in una parola il genere a cui fa riferimento “Le ferie di Licu”, il secondo film di Moroni si allontana in modo definitivo dal film di fiction che sembrava comunque ben maneggiata nella prima pellicola. Siamo più dalle parti del documentario o della docufiction, ma con una poetica tipicamente cinematografica. Probabilmente un riferimento costante durante le riprese è stato Roberto Rossellini, per come è stato tratteggiato con realismo il mondo degli immigrati romani, la nuova classe proletaria della capitale con i loro rapporti, lavori, relazioni e tentativi anche felici di integrazione.
Ed è ancora a Rossellini ed alla sua “India” che pensiamo nelle sequenze bengalesi del film, dove la società è si è evoluta e resa moderna ma la forza della natura è sempre più forte dell’uomo. Quindi non stiamo parlando di un semplice documentario, è più l’ideale neorealista di seguire una giornata nella vita di un uomo, solo che in questo caso il soggetto non sta vivendo una situazione quotidiana per il mondo occidentale, dove un matrimonio combinato per lettera è lontano dalla realtà, ma la regia ci rende tutto leggero e fluido e poetico, comprese alcune bellissime sequenze di Fancy rinchiusa, prigioniera volontaria, nel piccolo appartamento romano, che osserva non vista come un paradigma del cinema stesso, la vita reale fuori della finestra. Il film è un passo fondamentale nella carriera di Moroni come autore e come produttore indipendente, si tratta di una riconciliazione tra il cinema in senso più ampio ed il documentario, girato con una troupe leggera, basso budget ma occhi ed estetica assolutamente cinematografica, così come il valore finale non è soltanto la difficoltà di integrazione ma anche e soprattutto la difficoltà di crescere, di diventare adulti, una tematica, questa, universale.
Vittorio MoroniH
Ha esordito nel lungometraggio con Tu devi essere il lupo, nomination ai David di Donatello e ai Nastri d’argento 2005. Ha vinto il Premio Sacher d’argento al Sacher Festival di Nanni Moretti con il cortometraggio Eccesso di zelo e realizzato vari corti e documentari. Ha vinto due volte il Premio Solinas per il miglior soggetto originale con Il sentiero del gatto e Una rivoluzione.
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