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Contributi Critici - Verso quale orizzonte?

Contributi Critici - Verso quale orizzonte?

Contributi Critici - Verso quale orizzonte?
Verso quale orizzonte? Tecniche e possibilità distributive del cinema indipendente

 

Tecnologia e rivoluzioni
La storia del cinema è una storia di rivoluzioni, non semplici evoluzioni. La natura stessa del cinema, del resto, non è altro che una mescolanza dal potenziale altamente rivoluzionario: fotografia e vaudeville, teatro di strada e lanterne magiche, cabaret e magia circense, sono tutti elementi che, compressi in un unico contenitore ed espressi nella stessa formula, hanno contribuito a segnare i primi passi del cinema delle origini e – cosa più importante – a marcarne alcune caratteristiche fondanti. E proprio questo, il mix tra approccio al reale e illusione, tra costruzione dell’immagine e registrazione, tra intrattenimento e registrazione, in fin dei conti è il tratto peculiare del cinema in sé: certo più dell’arbitrario dualismo che ha visto contrapposti, loro malgrado, esponenti di fazioni avverse, i fratelli Lumiere e George Melies. Anche guardandola dal punto di vista dello sviluppo della tecnica, la componente innovatrice appare una costante. Nato (anche) come evoluzione della tecnica fotografica, il cinema è cresciuto seguendo un sentiero fatto di grandi salti in avanti. Una volta smarcatosi dall’inamovibilità del ritratto la strada percorsa è stata contrassegnata da immaginari (quanto sostanziali) punti di non ritorno: l’introduzione del sonoro, la comparsa del colore e via discorrendo di passaggio in passaggio, hanno contribuito a innovare e a riscrivere assiomi importanti del fare (e del fruire) cinema. Ad ogni modo, si tratta sempre di rivoluzioni che in breve tempo hanno contribuito a superare, o comunque ridefinire, i linguaggi precedenti. Anche oggi ci troviamo nel solco di un processo analogo. Il digitale sta portando una nuova rivoluzione nell’arte delle immagini in movimento, ma oltre alla rivoluzione tecnica e relativa ai linguaggi espressivi, cosa comunque innegabile, il digitale è una delle principali cause dell’espandersi delle produzioni indipendenti: il costo relativamente basso di produzione permette infatti un approccio più diretto al cinema e quindi, teoricamente, maggior numero di produzioni. Ma oltre alla relativa economicità del digitale, oggi, le produzioni indipendenti sono molte: film anche di alto valore ma che spesso sono destinati all’invisibilità. E quindi chiediamoci cosa fare per attuare una rivoluzione anche nella distribuzione, quali sono i canali, oltre ai festival, per dare visibilità a questo tipo di produzione. Ci sono poi i casi altamente significativi di film autoprodotti, con la partecipazione della troupe agli eventuali proventi, film che spesso restano nel cono d’ombra creato dalle grandi produzioni, ma che in alcuni casi riescono ad emergere a diventare casi e da casi diventano veri e propri campioni, mettendo d’accordo critica e pubblico. In quest’ottica è bene analizzare i primi passi di molti registi italiani di queste ultime stagioni.
 
Il Documentario
Ma la produzione indipendente ha un altro grande pregio in questi anni: quello di aver riportato l’attenzione sul documentario, riaprendo le porte dei cinema anche a questo genere. Infatti la possibilità di produzioni a zero budget hanno aperto un nuovo canale distributivo, la vendita direttamente in supporto digitale e quindi maggiore capillarizzazione. Prima di questa “rivoluzione”, in Italia non avevamo una cultura del documentario: il cinedocumentario è stato sostituito dal paradigma cinema-realtà, tematica tipica del neorealismo e da questo monopolizzata in virtù del proprio successo. Altra considerazione da fare è che, grazie alle gabbie all’interno delle quali il documentario inteso come produzione prevalentemente
istituzionale è stato confinato (gabbie soprattutto politiche, che conferiscono al prodotto una funzione prevalentemente didattica e paternalistica), gli hanno fatto assumere la forma di un’entità rigida, poco invitante alla fruizione e percepito come un obbligo. Queste “gabbie” son quelle che hanno garantito di vivere (o di sopravvivere) a questo tipo di documentario a scapito di un investimento nella qualità. E non a caso le espressioni più alte del documentario italiano sono proprio quelle scaturite dallo sguardo sulle realtà sub-subalterne o subculturali come ad esempio i lavori di De Seta e Silvano Agosti. Oggi il digitale comporta una nuova prospettiva, va a essere una rivoluzione ancor maggiore che per la fiction, perché gli permette di implementare quell’approccio più diretto all’oggetto che sta poi alla base dell’idea stessa di cinema documentaristico. Si implementa, in altre parole, l’approccio “leggero”, fluido, in parte simile al discorso portato avanti dai seguaci del cinema “verité” degli anni sessanta. Ma dal punto di vista della distribuzione il documentario è ancora un prodotto fortemente periferico, rispetto al circuito classico del cinema, ma forse proprio questa sua condizione, unita alle potenzialità  sempre in evoluzione della frontiera digitale, può essere sfruttata come opportunità. Qui i nuovi modi di fare cinema (cioè: organizzare, mettere insieme, finanziare) possono trovare più facilmente unavia di realizzazione, anche in ragione di un rapporto più diretto con un serie di attori considerati normalmente a-cinematografici come enti locali, associazioni et similia, che possono giocare un ruolo importante nella messa in opera di un prodotto documentaristico. Fino alla maggiore facilità della realizzazione di consorzi (o comunque reti e circuiti) tra autori e/o produttori indipendenti, incontro questo cui il cinema documentaristico è forse più portato (probabilmente ancora in ragione della sua marginalità). Ma è questa strada, segnata dai documentaristi, che sta seguendo anche il cinema di fiction dove i costi sono stati abbattuti dal digitale. Questo non significa che prima di questa evoluzione tecnologica non esistesse il cinema indipendente, a basso costo, fuori dalle grandi produzioni. Ci sono autori che hanno segnato il nostro cinema attraverso i loro film prodotti in modo marginale rispetto all’industria cinematografica e si badi bene film di fiction ed in pellicola: penso a Gian Vittorio Baldi, Corso Salani, Paolo Benvenuti, per fare soltanto i primi nomi che mi vengono in mente. Prolifici autori che su ogni film hanno investito il loro tempo personalmente per trovare finanziamenti. Da citare anche il caso di Florestano Vancini, un regista che faceva parte a pieno titolo della produzione “canonica” che per realizzare il suo “Le stagioni del nostro amore” nel 1965 ha impegnato la propria casa, riscattandola soltanto dopo la realizzazione di uno “spaghetti western” che potremmo definire alimentare. La differenza però tra il passato pre-digitale e l’oggi quindi non sta soltanto nella produzione (che come abbiamo visto si riusciuva a fare egregiamente anche prima fuori dall’industria), ma anche e soprattutto nella distribuzione. Il panorama italiano odierno è molto composito, molti autori nascono indipendenti e riescono ad emergere verso il cinema tradizionale, dove la differenza è fatta soprattutto dalla distribuzione e da un pubblico più ampio. Il discrimine in fondo al cinema è sempre lo stesso da quando è nato: essere visti o non visti.
 
Nuove tecniche produttive e distributive
L’esperienza cinematografica è ormai irrimediabilmente trasformata: televisione, home video, cellulari, dispositivi portatili, web, una pluralità di schermi che riflettono il profondo cambiamento apportato dalle tecnologie digitali. Quando poi parliamo di internet, inglobiamo in un unico termine una pluralità di possibilità: siti web, IP Tv, download, peer to peer, social network, You Tube e altri luoghi virtuali di file sharing. Non si tratta solamente di una moltiplicazione delle piattaforme per la diffusione dei contenuti, ma di un nuovo modo di concepire il cinema, dove il film è parte di un processo di coinvolgimento più ampio dello spettatore, che inizia e finisce oltre il confine temporale della durata della pellicola. La sala cinematografica perde la sua centralità in favore di forme di visione magari meno pregiate, ma preferibili perché disponibili in qualunque momento, luogo, potenzialmente reiterabili all’infinito. Questi nuovi canali, alternativi alle sale  cinematografichee al DVD, e quindi fuori dal soffocante controllo delle major cinematografiche, possono costituire una valida chance per diffondere film indipendenti, a patto che si comprendano le logiche che guidano il web 2.0 e le pratiche di fruizione dei nuovi spettatori. Non basta infatti rendere disponibile – gratis o a pagamento – un prodotto cinematografico on line, ma deve essere adeguatamente promosso e diffuso attraverso strategie virali, per sfruttare il tam tam mediatico e creare risonanza intorno al film o cortometraggio. Serve perciò un sito internet dedicato, un passaparola digitale attraverso la rete di cineblogger, contenuti extra e qualche evento virtuale. Nel corso degli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a numerosi successi inaspettati, che hanno trovato in internet la propria forza per entrare nell’immaginario del grande pubblico. Basti pensare a The Blair Witch Project, film low budget di Myrick e Sancez, che deve il proprio successo in sala ai contenuti diffusi in rete ed alla costruzione verosimile della storia della strega di Blair; oppure The Man from Earth di Jerome Bixby, film immesso nel circuito illegale del filesharing, che ha poi trovato spazio nei canali tradizionali grazie alle recensioni positive degli utenti su Amazon.com ed Internet Movie Database. Ma abbiamo anche casi italiani, H2Odio di Infascelli, che ha distribuito il film prima in edicola e poi su web attraverso il sito, o Teosofia di Basadonne e Vaccari, mediometraggio scaricabile gratuitamente on line dalla pagina di myspace.com. In Italia, proprio per dare spazio a quei film che difficilmente usciranno in sala, sono nati alcuni siti dedicati al cinema indipendente - citiamo www.cinemadistribuzione.com e www.neche.it – che offrono un database di titoli introvabili attraverso i canali tradizionali. Si tentano percorsi alternativi, dove la proiezione in sala non è più l’inizio ma diventa il traguardo finale della distribuzione cinematografica. In questa ottica, un ruolo chiave è rivestito anche dalla televisione. Con l’arrivo delle piattaforme satellitari e del digitale terrestre, e la conseguente proliferazione dei canali televisivi, assistiamo ad una crescente domanda di contenuti, che trovano nel cinema un potente alleato. Questo anche in conseguenza della legge /1998, che stabilisce l’obbligo per le televisioni nazionali di destinare parte delle proprie risorse alla produzione e all’acquisto di opere cinematografiche italiane ed europee. Inoltre pay per view e IpTv, che basano la propria forza sulla dimensione della library, sono particolarmente predisposte all’acquisto di film non hollywoodiani, dati i  prezzi minore dell’acquisizione dei diritti.
 
Quale futuro?
C’è poi un altro fenomeno da monitorare, ancora in stato embrionale, ma in crescita progressiva: le produzioni che partono “dal basso”, che coinvolgono lo spettatore nella co-produzione di film o documentari, anche quando questi devono ancora essere realizzati. Al destinatario viene chiesto di contribuire economicamente al budget di produzione pre-acquistando una copia del dvd; chiaramente, per ogni progetto collettivo è richiesto un numero minimo di persone, per coprire le spese di produzione. Il primo esempio di questo cinema 2.0 è il film A Swarm of Angels di Matt Hanson, ancora in itinere, che vede i tanti finanziatori discutere delle scelte produttive (cast, location, ecc..) nel blog dedicato. In Italia è stata creata  l’associazione “SelfCinema- Adopt-a-movie” che si propone di distribuire film indipendenti, spingendo gli spettatori ad «adottarli». Il suo proposito si è realizzato nella distribuzione in sala della pellicola L’estate di mio fratello di Pietro Reggiani, avvenuta solamente dopo aver raggiunto la cifra necessaria alla copertura dei costi.
 
 
Simona Biancalana
Francesco Corsi
Giuseppe Gori Savellini

 

 
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