regia: Paolo Sorrentino; sceneggiatura: Paolo Sorrentino; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Giogiò Franchini; scenografia: Lino Fiorito; musica: Pasquale Catalano; interpreti: Giacomo Rizzo (Geremia de’ Geremi), Fabrizio Bentivoglio (Gino), Laura Chiatti (Rossana), Gigi Angelillo (Saverio), Clara Bindi (la madre di Geremia), Nicola Grittani, Francesco Grittani (i gemelli Contessa), Marco Giallini (Attanasio), Lorenzo Gioielli (Montanaro), Alina Nedelea (Belana), Roberta Fiorentini (la moglie di Saverio), Geremia Longobardo (Giacomo), Fabio Grossi (il cognato di Saverio), Barbara Valmorin (la nonna del Bingo), Lorenzo Sorrentino (suo nipote), Giorgio Colangeli (Massa), Barbara Scoppa (Tiziana), Elias Schilton (Tesauro), Luisa De Santis (Silvia), Lucia Ragni (la cassiera); produzione: Domenico Procacci, Francesca Cima, Nicola Giuliano, per Fandango/Indigo Film/Babe Film; distribuzione: Medusa; durata: 110’; origine: Italia, 2006.
Vecchio, laido, sordido e sgradevole, Geremia de’ Geremei è proprietario di una piccola sartoria, ma la sua vera fonte di guadagno deriva dall’attività di usuraio, condotta da poveraccio e maniere melliflue e “cortesi” che lo portano a proclamarsi “amico di famiglia”, attraendo in realtà e invischiando nella sua tela fatta di ricatti e ritorsioni le sue vittime. Nonostante la consistente ricchezza accumulata, conduce una vita miserevole, abitando con la madre in un modesto appartamento devastato dall’umidità. Suo alleato, occupandosi delle riscossioni, è Gino, una sorta di solitario e anacronistico cowboy di provincia di mezz’età.
Nell’esistenza scialba e gretta di Geremia entra un giorno Rossana, miss Agro Pontino, giovane e bella, di cui dapprima estorce i favori sessuali (sciogliendo con essi il debito economico contratto dalla famiglia per la decorosa celebrazione delle sue nozze), poi se ne innamora irrimediabilmente. Insofferente di tutto (del ragazzo che ha sposato, della propria famiglia e anche di se stessa), Rossana, pur considerandolo ripugnante fino a dichiararglielo ripetutamente, si dichiara disposta a ricambiare il sentimento. Per lei Geremia giunge a mettere in gioco se stesso, insieme a un’ingente somma di denaro che decide di concedere in prestito, per il quale rischia di perdere l’intera ricchezza accumulata. Bestie più forti che divorano quelle più deboli, animali vegetariani che diventano preda di quelli carnivori: le immagini dei documentari naturalistici che scorrono sullo schermo televisivo perennemente acceso, davanti al quale sta inchiodata al letto la madre arpia e deforme del protagonista nel loro cadente appartamento, diventano metafora della natura di quell’umanità che Sorrentino, con pathos visionario e virtuosismo tecnico, mette in scena, in una visione sconcertata e desolante dei rapporti interpersonali. Un’umanità feroce ai limiti della presentabilità, di cui risalta la bestialità, nella quale l’egoismo e l’avidità, di denaro e di sesso, hanno anestetizzato e fatto eclissare qualsiasi valore morale, e a cui le scelte, le azioni, le pulsioni degli individui appaiono conformati. Un’umanità brutale, malata e deforme, di cui Geremia si pone a emblema. Prima fisicamente, con il suo fisico sgraziato, il volto irregolare (sovente contornato da fette di patate fatte aderire alla testa da un fazzoletto legato stretto, come rimedio antico alle sue emicranie), l’unghia del mignolo abnorme, un braccio perennemente ingessato, l’aspetto untuoso, l’andatura strascicante, la sensazione di repellenza che esso produce. Quindi moralmente, con la sua etica aberrante, la sua ipocrisia (da buon benefattore, a chiunque dispensa massime di vita e frasi di spicciola e domestica filosofia riprese da Rider’s Digest e promette di dedicare il suo ultimo pensiero da vivo), il suo cinismo nel tessere la trama di interessi ed estorsioni. Sgorbio, lurido e sardonico, viscido, abietto e spregevole, Geremia ha un rapporto morboso, degenerato e distorto con qualsiasi cosa: con il denaro e gli oggetti preziosi, accumulati così avidamente ma rigorosamente depositati in cassette di
sicurezza, mai esibiti e assai avaramente ed egoisticamente spesi e impiegati; con il sesso, praticato o immaginario, ridotto anch’esso a mera mercificazione e prezzo di riscatto; con la madre, vecchia e pingue megera inferma e semi-incestuosa. Pur nella sua repellenza, e in modo ridicolo e patetico, Geremia mantiene tuttavia, nei suoi recessi più profondi e segreti, la “nobiltà” d’animo di lasciarsi pervadere da un sentimento autentico, da un affetto per il quale si mostra disposto a giocarsi tutto, emotivamente ed economicamente. La sua finale “apertura”, benché destinata a risolversi in un amaro scacco e in una atroce disillusione, gli restituisce forse un senso di “bellezza”, non certo esteriore bensì interiore, e di purezza di cui invece sono affatto privi tutti coloro che lo circondano: Rossana, estraniatasi da tutto e da tutti, dalla famiglia e da se stessa, bella fuori come corrotta dentro; Gino, il consigliere di Geremia, folcloristica figura country agropontiniana che sognail Tennessee, orditore, assieme a Rossana, della cupa beffa finale, nonché le due gaglioffe comparse che per una manciata di soldi si incaricano di metterla in atto; e i clienti-vittime di Geremia, ancora più laidi e rivoltanti di lui, spinti a chiedere il denaro in prestito per fini miserevoli, ostentare un matrimonio di triste apparenza, giocare a bingo, ricorrere alla chirurgia estetica, comprare un titolo nobiliare. È un’umanità senza remore e in regresso, distaccata e cinica, quella nei cui interstizi più ripugnanti l’occhio della macchina da presa, come un bisturi, affonda, incidendone il corpo vieppiù putrescente. Un’umanità giunta all’ultima spiaggia, come quella che Geremia, nelle inquadrature conclusive, perlustra infaticabilmente con un rilevatore di metallo, in cerca di monetine e monili lasciati cadere da ignari villeggianti.
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