Ecco alcuni commenti dei ragazzi ai film in gara:
È una storia vera sulla pazzia di una donna che uccide i familiari in preda ad uno stato depressivo post-partum. E’ trattato il tema della dipendenza e dell’abuso di psicofarmaci.
È un immaginario viaggio in un sogno legato alle origini più colorate e vivaci di una terra come la Sardegna. Il titolo prende spunto dall’omonimo libro di Sigmund Freud, proprio per rispecchiare il puro carattere fantastico e l’atmosfera onirica che i racconti dell’antica cultura sarda sanno raccontare. Fiori, colori e forme geometriche si mescolano ai simboli del Folklore Sardo in una delicata danza animata.
È nella manualità del lavoro, frutto di un’esperienza consolidata nei secoli, che si conserva il valore più profondo di una cultura. Perché il ritmo e il tempo del gesto riflettono spesso quell’originario rapporto con la natura che segna il carattere e la mentalità dei popoli. Nei mestieri antichi si può cogliere così lo stretto legame che esiste tra la modernità e la tradizione. Essi sono una testimonianza precisa del mutato senso del tempo e del valore perduto della capacità manuale, quell’abilità che si imparava attraverso l’osservazione continua del gesto ripetuto.
Il film racconta la storia di due ladroni. Uno dei due ruba un agnello in campagna. L’altro è un arbitro corrotto esiliato in Sardegna. I loro destini si incrociano nella bolgia infernale di un derby calcistico di infima categoria.
La vicenda si sviluppa nel dialogo, a senso unico, tra il capofamiglia, costretto a letto, e i parenti riuniti al suo capezzale. Questi sfruttano il rito dell’ammentu (in cui tradizionalmente venivano ricordate le colpe al moribondo, in modo che si potesse pentire prima della morte) per dare sfogo ai propri rancori, pensieri e sentimenti. Tutto si consuma in un breve lasso di tempo dove si erge su tutti, con autorevolezza e solitudine, la figura della misteriosa femina agabbadora. Assai popolare in Sardegna fino alla fine del XIX secolo, si occupava delle nascite, di curare i malati e, quando necessario, di abbreviare la sofferenza dei moribondi. Il metodo più usato era un colpo alla tempia con un martello di olivastro (mazzolu).
Durante una notte di luna piena, il suono della risacca ci porta sino alla camera di un bambino che dorme. La notte calma viene interrotta da un incubo, il bambino viene catapultato sulla riva del mare. Un uomo su una roccia, una spiaggia rovinata, un territorio rubato, forse proprio da quell’uomo sulla roccia in mezzo al mare. Dopo la tensione il risveglio, era solo un incubo.
Ecco alcuni commenti dei ragazzi ai film in gara: