“Nema Problema, la Jugoslavia venti anni fa” ha visto la proiezione dei documentari “Cinema Komunisto” di Mila Turajlic e “Bijelo Dugme” di Igor Stoimenov che raccontano la società jugoslava prima dell’entrata in guerra che ha cancellato decenni di convivenza senza però raccontare la cronaca di quegli anni ma attraverso il racconto di due forme artistiche: il cinema e la musica.
Spazio anche alla proiezione di “Mostar United” di Claudia Tosi, sensibile e attenta documentarista. I registi, ospiti della rassegna hanno parte alla tavola rotonda alla quale parteciperanno anche la scrittrice Silvia Badon autrice del libro “Esperienze di cinema dalle ceneri della Jugoslavia – Bosnia Erzegovina” per Gabbiano editore e Stefano Landucci, autore del libro fotografico “Srebrenica, per non dimenticare.
Silvia Badon saggista e ricercatrice nel suo libro racconta gli ultimi venti anni di cinema bosniaco, il cinema nato dalla cesura della guerra, che arriva “dopo la pioggia”, quella pioggia che al cinema ci ha fatto scoprire l’orrore del conflitto nel bellissimo film di Milcho Manchevski (Prima della pioggia, 1994). Stefano Landucci invece è un attento e curioso viaggiatore che ha saputo raccontare e mostrare in un libro scritto e fotografato con Marco Bani, l’orrore che tarda a lasciare Srebrenica, un passato che pesantemente ricopre le belle pagine fotografiche del libro.
«Per il titolo dell’evento ci siamo ispirati alla frase Nema Problema che spesso era ripetuta durante la guerra o nelle settimane che l’hanno preceduta quando nessuno credeva che la situazione potesse precipitare - spiega Giuseppe Gori Savellini curatore dell’evento – una frase che incarna lo spirito fatalista di un popolo catapultato nell’orrore di un conflitto del quale probabilmente ignorava l’entità. Non vogliamo però parlare solo della fatalità di una guerra civile che si è rivelata cruentissima, ma anche dell’ottimismo legato alla ricostruzione, attraverso la lente del cinema».
“Cinema Komunisto”
di Mila Turajlic
Dei set cinematografici in rovina possono rivelarci qualcosa sul crollo della scenografia in cui vivevamo? Quanti livelli di comprensione contengono le storie mai raccontate di coloro che lavorarono nel cinema negli anni di Tito? La storia dell'ascesa e della caduta della cinematografia jugoslava può contribuire a spiegare l'edificazione e il crollo della Jugoslavia? Cinema Komunisto ci accompagna in un viaggio tra le rovine dell'industria cinematografica di Tito esplorando l'ascesa la caduta dell'illusione cinematografica chiamata Jugoslavia. Grazie a rari filmati provenienti da decine di film jugoslavi, da inediti materiali d'archivio e dalle proiezioni private di Tito, il documentario ricrea la costruzione narrativa di un Paese attraverso le storie raccontate sullo schermo e quelle nascoste dietro di esso.
“Bijelo Dugme”
di Igor Stoimenov
Quando il mondo aveva i Rolling Stones, la Jugoslavia aveva i Bjielo dugme. I loro concerti richiamavano centinaia di migliaia di fan, vendevano milioni di album e furono i primi a scandalizzare la nazione con storie di droga e sregolatezza. Il film ci riporta agli inizi degli anni ’70, quando la leggendaria rock band di Sarajevo conquistò la Jugoslavia e diede il via a 15 anni incontrastati di dominio delle classifiche. Fino al 1989, quando anche il paese cominciava a dare i primi segni di cedimento. Il fondatore della band, Goran Bregović, è in seguito divenuto un fenomeno globale della world music, portando in giro per il mondo i suoi show fatti di colorate orchestre di ottoni e cori femminili. Usando rari materiali d’archivio della scena musicale jugoslava a partire dalla fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70 e per i 15 anni durante i quali la band ha fatto irruzione sulla scena e monopolizzato l’immaginazione popolare, il film racconta una storia epica fatta di sesso, droga, rock’n’roll e politica. Lo sviluppo cronologico del film segue, infatti, passo passo la trasformazione vissuta dalla Jugoslavia, arrivando fino al 1989, anno in cui i Bjielo dugme si sciolgono e il paese modello del blocco orientale si affaccia sull’orlo dello sfacelo.
“Mostar United”
di Claudia Tosi
Dopo aver combattuto nella guerra di Bosnia-Erzegovina per proteggere la sua Mostar e il Ponte, Mensud è impegnato in una nuova battaglia: trasmettere alle nuove generazioni il senso perduto dell’unità.
Divisa e avvelenata dal nazionalismo, Mostar non è più la Montmartre dei Balcani che era prima della guerra, ma due “ghetti” separati da un grande boulevard.
Sul campo della sua scuola calcio del Velez, la squadra storica di Mostar, Mensud guida un esercito di ragazzini, ma suo figlio Dzenan, uno degli allievi, sogna un ingaggio in Europa e una vita lontana dall’odio.