Il cinema ed in generale l’arte possono essere forme di resistenza diretta ad un regime o ad una guerra. Ma l’arte può anche diventare direttamente strumento di resistenza quando l’artista sposa una causa e le sue opere servono per raccontare il proprio universo, la guerra, un regime e spesso il suo semplice raccontarlo diventa strumento di opposizione: il racconto è un’arma vera e propria.
In questi anni stiamo vivendo in Europa la necessità di accogliere popoli in fuga da guerra e regimi sanguinari. L’Europa sta facendo i conti con le proprie frontiere che si riscoprono fragili ed in alcuni casi mettendo in crisi il concetto stesso di apertura, di superamento dei confini che aveva rappresentato l’ultimo decennio del Novecento. Ma, riteniamo, anche con i confini aperti rimarrebbe una non comprensione delle ragioni dei rifugiati che arrivano in Europa, una distanza mentale, emotiva ed intellettiva dalle scelte che hanno portato questi popoli ad abbandonare il proprio paese. La fuga per molti è stata una forma di Resistenza, perché fuggendo da un Paese assoggettato da una dittatura o da una guerra hanno potuto continuare a coltivare la propria cultura di origine, si è creata una sorta di “arte in esilio”, strettamente legata alla cultura di origine ma permessa unicamente dalla fuga, dall’allontanamento fisico dal loro Paese.
È stato con queste premesse che abbiamo voluto dedicare l’edizione ventitré di Visionaria all’arte come forma di resistenza: sia questa una resistenza nei luoghi stessi di un conflitto che ad una resistenza in esilio. Tutti i momenti collaterali al concorso per cortometraggi, vera ed unica tradizione di Visionaria (rifuggendo la ripetizione di formule e cliché), saranno dedicati al tema in questione attraverso incontri, proiezioni speciali, mostre e workshop.
Giuseppe Gori Savellini,
Direttore Artistico Visionaria Festival